domenica 16 giugno 2013

Una torre e un castello.

Space Sick, Sunset Tower, 16 giugno 2515

Temporale.
Fulmini e tuoni.
Forse colpi di pistola: a Sunset Tower non si può mai sapere.
Temporale, nebbia, criminali e terroristi. Una serie di ottimi motivi per non mettere la testa fuori dalla nave. Il che significa giocare a carte, per lui e Rudy.

No, col cazzo, con te non gioco più.”

Per lui.

Credi che non mi sia accorto che è tutta sera che bari?

Il pilota aggiunge qualche bestemmia multiculturale e sparisce oltre la stiva aperta, sotto la pioggia acida che bagna la torre. Lui ne segue la sagoma con lo sguardo, fino a quando non sparisce nella notte.
Sospira. Guarda il mucchio di banconote che si ritrova davanti, sul tavolo. Ride.
E' tutta la sera che bara.

Scarta l'idea di un solitario. Scarta l'idea di estrarre i dadi. Ovviamente scarta l'idea di andare a dormire. Si scola un bicchiere di whisky, pessima qualità ma sbronza veloce. Dopo qualche sorso sembra orientato a stordirsi di liquore e svenire lì seduto, sul tavolo piazzato in mezzo alla stiva, a qualche metro dalla tempesta.
Poi, quasi meccanicamente, raccoglie due carte dal mazzo.
Le sistema in piedi, inclinate, una a sostenere la punta dell'altra. Una casetta.
Il filo dei pensieri si perde nel whisky, le mani lo seguono.

La prima coppia, la prima piramide, è per Silver. Un dubbio.
La seconda, costruita appena accanto, è Electra. Per i debiti, i consigli, i tarli messi in testa.
D'istinto, la terza è per Dragan e i suoi affari. La discrezione, la paura, l'indifferenza.
La quarta diventa Alec. Lui e il grilletto facile.
La quinta, nella sua testa, è per Nash.

Una fila di cinque casette di carte, la base di un castello di guai. 
Ride. Le dita vengono trascinate da ragionamenti sconnessi e illogici collegamenti. Lentamente, sopra quelle carte dispone una base di altre carte. Sopra quel piano, altre carte ancora. Altre coppie, altre piramidi.
La seconda fila sono i fantasmi.

Jones e la sua Blast al veleno.
L'ubriacone di El Paso, il suo polmone bucato.
Walter Cranston, nulla si crea e nulla si distrugge, ma intanto non c'è più.
I due bambini. Il sangue.

Il castello prende forma. La bottiglia di whisky si svuota, sorso dopo sorso. Le mani non tremano, preparando il terreno per il terzo piano sopra i due appena edificati. Nella testa si insinuano i debiti da ripagare, le dita li costruiscono con altre carte.

Molly, perchè grazie a lei ho avuto una seconda possibilità.
Tali, perchè di occasioni me ne ha date tante.
Andre, perchè una seconda chance se la merita anche lui.

Tre coppie, terzo piano. Ne mancano due, alla fine della piramide. Uno sguardo controlla l'airlock aperto, preoccupato da presenze ostili. Non trova criminali, ma un filo di vento che fa vibrare lui e il castello. Lo protegge con le mani aperte, poi le usa per versarsi in gola altro liquore. Quindi raccoglie altre quattro carte. Questa volta le dita tremano, nel sistemarle con precisione le une contro le altre, le une accanto alle altre.

Due carte. Aileen.
Due carte. Eivor.

Arretra sullo schienale della sedia. Mentre si riempie il bicchiere per l'ennesima volta studia quella costruzione precisa quanto fragile.
Quattro piani, dalla base alla cima ancora mancante.
Una piramide di immagini, ricordi, sensazioni. 
E in quella struttura, ogni carta sostiene l'altra. Basterebbe toglierne una sola, una qualsiasi, e crollerebbe tutto in un istante.
Ride, ma è una risata nervosa e ubriaca.
Raccoglie le ultime due carte. Le mani tremano, come i pensieri nella testa del chimico.
Trattiene il fiato.
Con estrema lentezza sistema l'ultima casetta sulla cima della piramide. La punta, la cosa più importante o dove tutto va a finire: La Fortuna.

Un rivolo di vento fuggito dalla tempesta che imperversa sulla torre scivola oltre l'airlock aperto, vaga dispettoso per la stiva, si insinua prima a regalare un brivido nel colletto del chimico e quindi, un istante dopo che lui ha lasciato le carte, nella piramide.
Il castello frana, di colpo.

Non c'è la Fortuna, in cima alla piramide di Huck.
E lui lo sa.


Sfiga Puttana.

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