Bullfinch, Timisoara, 26 giugno 2515
Sta diventando una costante.
Quando le luci dell'alba e il chimico
di Horyzon si incontrano, uno dei due è sempre ubriaco.
E l'alba non beve.
Il Wild Horses è un saloon come mille
altri. In legno, con una veranda all'esterno e un bancone affollato
all'interno. La clientela tipica è formata da uomini dei vari ranch,
l'aria puzza di fumo e umanità sudata.
Il Wild Horses è chiuso da ore. La
campana dell'ultimo giro, gli insulti del barista e qualche calcione
distratto l'hanno svuotato quando ancora faceva buio. I primi raggi
del sole trovano due figure superstiti, arroccate sulle sedie della
veranda.
“Io la odio, Len.”
Haggerty ha il fiato che puzza di
alcol, la camicia sporca di qualche bicchierino rovesciato, la barba
incollata alla pelle da incrostazioni dolciastre, gli occhi e la voce
annegati nel whisky.
E' stravaccato su una sedia più
malmessa di lui, il capo inclinato leggermente di lato per inquadrare
il suo occasionale compagno di bevute e di conseguenza ovviamente,
per quella notte, miglior amico di sempre.
“Ben. E' la decima volta che te lo
dico. Mi chiamo Ben.”
Ben protesta senza più forza o
speranza. Scuote il capo, lo ferma per ingoiare l'ennesimo sorso
dall'unica bottiglia sopravvissuta fino ad ora, poi se la stringe al
petto con amore e devozione.
Ben dice di avere cinquant'anni, ma la
guerra e l'alcolismo gli hanno lasciato addosso segni pesanti, gli
hanno scavato il viso in rughe che lo fanno sembrare molto più
vecchio. Ha addosso vestiti che probabilmente hanno attraversato con
lui sia le battaglie contro l'Alleanza che quelle contro il whisky.
Non pare averne vinta nessuna.
Annuisce lentamente, mostrando per le
parole del chimico tutto l'interesse di un ubriacone che non ha
niente di meglio da fare in attesa che il locale riapra.
“E' una cazzo di bambina che ha
deciso di prendersi sulle spalle tutti i problemi del mondo.
Io la odio, Len.”
Ben sospira rassegnazione e vapori
alcolici. Si alza con calma, fissa a lungo il chimico, gli tende
quell'unica bottiglia superstite.
Con essa, gli regala il solo
consiglio che può dargli.
“Bevici su.”
Poi spiega il motivo del suo improvviso
staccare il culo dalla sedia, affrettandosi a girare l'angolo del
locale. Non lo fa a parole, ma con l'inconfondibile rumore di vomito.
Il chimico resta da solo, con quel
whisky in mano.
Attorniato da bottiglie vuote,
consumate una ad una come le perle di un rosario in una preghiera a
Santa Sbronza, svuotate di fretta come i proiettili di un caricatore
esploso con rabbia contro i pensieri.
Ci beve su.