venerdì 28 giugno 2013

Una bionda e un doppio malto.

Bullfinch, Timisoara, 26 giugno 2515

Sta diventando una costante.
Quando le luci dell'alba e il chimico di Horyzon si incontrano, uno dei due è sempre ubriaco.
E l'alba non beve.

Il Wild Horses è un saloon come mille altri. In legno, con una veranda all'esterno e un bancone affollato all'interno. La clientela tipica è formata da uomini dei vari ranch, l'aria puzza di fumo e umanità sudata.
Il Wild Horses è chiuso da ore. La campana dell'ultimo giro, gli insulti del barista e qualche calcione distratto l'hanno svuotato quando ancora faceva buio. I primi raggi del sole trovano due figure superstiti, arroccate sulle sedie della veranda.

“Io la odio, Len.”

Haggerty ha il fiato che puzza di alcol, la camicia sporca di qualche bicchierino rovesciato, la barba incollata alla pelle da incrostazioni dolciastre, gli occhi e la voce annegati nel whisky.
E' stravaccato su una sedia più malmessa di lui, il capo inclinato leggermente di lato per inquadrare il suo occasionale compagno di bevute e di conseguenza ovviamente, per quella notte, miglior amico di sempre.

“Ben. E' la decima volta che te lo dico. Mi chiamo Ben.”

Ben protesta senza più forza o speranza. Scuote il capo, lo ferma per ingoiare l'ennesimo sorso dall'unica bottiglia sopravvissuta fino ad ora, poi se la stringe al petto con amore e devozione.
Ben dice di avere cinquant'anni, ma la guerra e l'alcolismo gli hanno lasciato addosso segni pesanti, gli hanno scavato il viso in rughe che lo fanno sembrare molto più vecchio. Ha addosso vestiti che probabilmente hanno attraversato con lui sia le battaglie contro l'Alleanza che quelle contro il whisky. Non pare averne vinta nessuna.
Annuisce lentamente, mostrando per le parole del chimico tutto l'interesse di un ubriacone che non ha niente di meglio da fare in attesa che il locale riapra.

“E' una cazzo di bambina che ha deciso di prendersi sulle spalle tutti i problemi del mondo.
Io la odio, Len.”

Ben sospira rassegnazione e vapori alcolici. Si alza con calma, fissa a lungo il chimico, gli tende quell'unica bottiglia superstite. 
Con essa, gli regala il solo consiglio che può dargli.

“Bevici su.”

Poi spiega il motivo del suo improvviso staccare il culo dalla sedia, affrettandosi a girare l'angolo del locale. Non lo fa a parole, ma con l'inconfondibile rumore di vomito.

Il chimico resta da solo, con quel whisky in mano.
Attorniato da bottiglie vuote, consumate una ad una come le perle di un rosario in una preghiera a Santa Sbronza, svuotate di fretta come i proiettili di un caricatore esploso con rabbia contro i pensieri.


Ci beve su.

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