martedì 24 dicembre 2013

Natale a Casa Edwards

Messaggio ricevuto da Eivor il giorno 24 Dicembre 2013 alle 15:04
c-message: christmas season
Haggerty.

Ho deciso che è ora che tu conosca la mia famiglia e che la mia famiglia conosca te.
Non sarà una cosa semplice, né piacevole, ma è una cosa che va fatta, e va fatta bene, perché mio padre ha una doppietta, una vanga e molti ettari di terreno. Non aggiungo altro.
In compenso, mia madre è un'ottima cuoca.

Eivor

PS.

Naturalmente dormiremo in camere separate. Non escludo che mio padre le chiuda a chiave. Dall'esterno.

mercoledì 27 novembre 2013

un punto di vista e un plagio

[ questo post vuole essere omaggio a Culodicuori ]

Novembre 2515, Hall Point

Mentre attraversano il dedalo metallico dei corridoi di Hall Point, si chiede se la mano di Eivor sia sempre così calda, e se la sua bocca sempre così asciutta. Sulla soglia della porta della stanza, lei si gira per baciarlo e le trova in volto un'aria confusa e diffidente. Sfiga puttana, se lo vede mi uccide, si dice in un momento di sconforto, prima di farsi incollare le labbra sulla bocca e fare un rapido check up della situazione. No, non posso farle guardare il soffitto, pensa fra sé e sé mentre apre la porta e avvinghia la bionda, facendola entrare di schiena senza, per altro, staccarle la faccia di dosso. E ogni volta che lei cerca di guardarsi intorno -causandogli terribili brividi di panico-, lui le infila una mano fra i capelli e la tiene ferma.
Magari riesco a sfangarla, pensa con un sollievo indicibile mentre si sfila le scarpe, i calzini, la camicia, i jeans, i boxer blu. Eivor fa per sdraiarsi sul letto, poi qualcosa – la sua faccia terrorizzata, come se la Morte stessa lo stesse aspettando tra le lenzuola - la fa girare di scatto a frugare la branda. Invece ci sono solo delle coperte un po' stazzonate e qualche panno abbandonato che viene fatto scivolare a terra. Huck la prende nervosamente per le spalle e, con un sorriso che è un po' imbarazzato e un po' logicamente spaventato (il soffitto), la gira carponi, in modo che si trovi la chioma bionda davanti al volto arrossato e la parete di fronte a sé.
Mi ucciderà, ma ne vale la pena, continua a pensare mentre si danno da fare.
[un po' di tempo dopo]

Scivola sul letto con gli occhi chiusi, respirando affannosamente e cercando a tentoni la bottiglia di whisky abbandonata sul comodino. E' un miscuglio di tensione e endorfine. Apre gli occhi per agguantare il liquore, e la scia della fiammella lo porta a sollevare gli occhi verso Eivor. Ed è solo in quel momento che se ne ricorda: la gigantografia disegnata da Paul di un paio di tette. Il sangue gli pulsa nelle tempie prima di poter realizzare che sta per tornare single, o che sta per diventare cadavere.
Si copre con il lenzuolo come se potesse fargli da scudo contro l'ira di Culodicuori. Abbassa gli occhi colpevoli fuggendo quelli della pilota, che ha la faccia che ti aspetteresti di vedere sotto il cappuccio del boia. Le punta contro un sorriso terrorizzato, e con tutta l'incertezza del 'verse le dice


ti amo?

martedì 15 ottobre 2013

All In.

Monkey Wrench, da qualche parte nello spazio, 15 ottobre 2515.

Apre gli occhi. Quello che vede lo lascia confuso, sorpreso.
E' seduto ad un tavolo da poker. Sul panno verde sono sparsi cumuli di chips, banconote, bicchieri e bottiglie. Ha in mano due carte. Buone carte. La cosa è rara, con la sfortuna che lo perseguita, ma non è questo a stupirlo. E' la compagnia al tavolo.

Bill Blackbourne lo fissa oltre una nuvola di fumo di sigaro. Incredibilmente, sorride.
“Haggerty, ti sei addormentato? Sta a te.”
Colpisce con un tocco delicato la punta del sigaro, la cenere precipita al suolo.

“Quante volte ti devo dire di non buttare la sporcizia a terra, Bill?”
La voce suona famigliare. Il chimico si volta, incuriosito, verso la figura al fianco dell'Head di Hall Point. Vi trova, non senza stupore, Molly Cox.
“Poi non pulisco, ve lo dico. Fate sempre pulire me. Cenere, cartacce, sangue.”

“Non è stata colpa mia. E' Hag che sporca.”
Un posto più in là, al tavolo verde, c'è Joe Black. Che alza le mani, come se si stesse arrendendo, e sogghigna. “Diglielo, Hag. Sono innocente.”
Huck non fa in tempo a rispondere, perchè un'altra voce si inserisce nella conversazione.

“Innocente un cazzo. Ti avremmo già arrestato, se quello lì avesse parlato.”
C'è un dito accusatorio puntato contro il chimico. Risalendo oltre mano, polso e braccio, si trova una divisa militare. All'interno, Coco Aguilar.
“A proposito, Haggerty. Sta a te parlare..”

“..e non abbiamo tutta la notte. C'è una guerra da combattere.”
La frase arriva dall'ultimo partecipante alla partita. Huck si volta, sempre più incredulo, e trova nel posto accanto a sé Jack Rooster. Che al contrario dell'alleata non è in divisa, ma nello stesso vestito che indossava al matrimonio di Ritter.
“Muoviti, chimico.”

Sbatte le palpebre. Scola in un sorso il bicchiere di whisky che ha davanti. Guarda le proprie carte. Guarda Bill, Molly, Dragan, Coco, Jack. Guarda la montagna di gettoni colorati. Ne spinge una parte verso il centro del tavolo.

“Raise.”

Blackbourne, senza parlare e senza smettere di sorridere, chiama la puntata. E così tutti gli altri, tranne Cox. La pilota sospira, scuote il capo, abbandona la mano.
“Fold. Io con questo..” alza lo sguardo su Huck. “..non voglio avere a che fare. Mi sono lavata le mani della sua vita tanto tempo fa.”
Molly fa scivolare la sedia indietro, si alza. Prima di allontanarsi lascia un bacio sulla guancia di Dragan. “Non barare, fratello.”

Una volta controllate le puntate, il Dealer gira tre carte sul panno verde. E' solo a questo punto che Huck si accorge di chi sta facendo il mazzo. Avrebbe giurato che un attimo fa non c'era, eppure è lì, seduto in mezzo a loro. Profeta Vandoosler. Con gli occhi densi di switch, una camicia fradicia incollata ai muscoli e il tono zuppo di una fiduciosa sicurezza. “Deve avere un ottimo motivo.”

Il chimico non ha il tempo per replicare, perchè questa volta è Bill ad aggiungere al piatto un nuovo rilancio. Rooster e Black chiamano, senza esitazioni. Huck ci pensa, ma fa lo stesso.
“No. Lascio anche io.”
Coco, invece, abbandona la mano e il tavolo.
“Non è attendibile. Avessi carte migliori potremmo intavolare una trattativa in merito..”
“Non è colpa mia se hai carte schifose, sorella.” La voce ed il sorriso arrivano da Andre, che invitato da un'occhiataccia di Jack (la stessa occhiataccia rifilata a Dragan quando, mesi prima, festeggiò un matrimonio bombardando il cielo) taglia corto per girare un'altra carta sul tavolo.
La quarta. Ne manca una, e stanno giocando ancora in quattro.

“Stai bluffando, ammiraglio.” fa Joe.
“Hai solo un modo per uscire bene da questa situazione.” risponde lei, con un cenno del capo verso le pila di gettoni del Weaver.

Huck invece guarda prima le proprie carte, poi le proprie chips, quindi le carte sul tavolo. Due assi in mano, due sul panno verde. Poker
Non può perdere.

“All In.” Spinge tutto quello che ha oltre l'immaginaria linea che separa i propri gettoni da quelli nel piatto. E' avvolto da un senso di sicurezza, di tranquillità, che non prova da anni. Almeno fuori dalla cabina del capitano della All Saints.

“D'accordo. All In.” Fa Black.
“All In.” Fa Jack.
“All In e rilancio.” Fa Bill, stupendo la compagnia. Qualche secondo di sgomento dopo è Vandoosler a chiedere spiegazioni.
“Hai finito le chips, Blackbourne. Con cosa rilanci?”

L'Head di Hall Point abbandona il sigaro nel posacenere. Alza la destra, ormai libera, per puntarla verso Huck. L'indice teso contro il volto sorpreso del chimico.

“La vita di Haggerty.”

Huck apre la bocca per protestare, ma qualsiasi bestemmia volesse strillare non esce. Si rende conto, all'improvviso, di essere senza voce. Cerca di alzarsi, ma le gambe non rispondono. Abbassa gli occhi sulle proprie carte e al posto dei due assi, di quella mano certamente vincente, trova un pezzo di carta su cui è disegnato un teschio. Un teschio con un cappello da giullare.

“La vita di Haggerty. Ci sto.”
“Anche io.”

La partita, nel frattempo, continua senza di lui.
Jack, Bill e Dragan attendono il verdetto della fortuna, giocandosi il suo destino.
Andre Vandoosler fa per girare l'ultima carta, quella decisiva. Si blocca a metà di quel gesto. Si volta verso Huck. Sorride.
“mi dispiace, fratello.”

..

Huck Haggerty si sveglia in un bagno di sudore, nel buio di un compartimento nascosto in una nave in volo chissà dove, ansimando in cerca di ossigeno.
Prenderà a calci le paratie metalliche fino a quando non otterrà una bottiglia di whisky.


domenica 29 settembre 2013

Una festa e un brutto accento.

Bullfinch, Timisoara, 28 settembre 2515.

Huck Haggerty è un corer sbronzo in mezzo a rimmer sbronzi.
Corer sbronzo, malinconico e lingua lunga.
Rimmer sbronzi, ribelli e confederati.

Se questa fosse una reazione chimica, lui se ne terrebbe a distanza. Forse scapperebbe dal laboratorio, dato il potenziale tossico dei due elementi combinati insieme.
Se fosse una mano di poker, e quelle le due carte che gli sono state servite, lui abbandonerebbe di colpo la partita. Stranamente non tenterebbe neanche un bluff, considerate le scarsissime possibilità di uscire dalla mano senza ulteriori perdite.
Se fossero materiale per una bomba, e il chimico con quelle ci sa fare, probabilmente rinuncerebbe al tentativo di metterli insieme. Troppo rischioso, dato il potenziale esplosivo. Roba che ti scoppia tra le mani, direbbe.

Purtroppo al momento il chimico è troppo carico di whisky, ingurgitato per festeggiare l'Exodus Day o per dimenticare la lontananza da casa, per ragionare lucidamente.
Se fosse in laboratorio finirebbe con lo scatenare una nuvola tossica, al tavolo da gioco perderebbe tutto, la bomba salterebbe senza detonatore.
E' invece in una piazza piena di rimmer sbronzi, ribelli e confederati.

Happy X-Day, gente!

Mentre qualche passo esitante lo stacca dal più vicino falò l'allegria alcolica porta il corer a salutare sconosciuti e distribuire pacche sulle spalle, sorrisi, auguri e accento di Cap City. Il suo percorso verso il campo dove ha parcheggiato la spacesick è costellato di brindisi con gli indigeni più sbronzi o meno razzisti, di occhiatacce da quelli meno sbronzi o più razzisti.
Poi finisce con l'incontrarne uno molto sbronzo e molto razzista.

“Cazzo fai qui, insetto corer?”
“Happy X-Day a te!”

Quello che si para davanti ad Huck, più che un uomo, è un armadio. Ne ha tutte le caratteristiche strutturali, considerati i due metri d'altezza e la massa di muscoli, e a giudicare dall'esterno sembra avere anche il quoziente intellettivo di un pezzo di mobilio.
Fissa il chimico con uno sguardo aggressivo e ubriaco che non promette nulla di buono.
Quello replica allungando la bottiglia verso di lui, in un'alcolica offerta di pace.
Mister Armadio sventola in aria una mano grande come mezzo Huck e fa volare quell'offerta a infrangersi a terra, con rumore di vetri e di liquore sprecato.

“Non bevo con le ragazzine di Horyzon.”
“ .. il mio whisky.”
“Cazzo fai qui, merda alleata?
“Festeggiavo, prima di ..”
“Non hai un cazzo da festeggiare, da queste parti.”
“A dire il vero..”
“Sei una spia?”
“Una spia?”
“Una fottutissima spia di quelle mezzeseghe della flotta.”
“E cosa dovrei dirgli, che avete buoni falò e pessimi alcolici?”
“Non mi piacciono i corer, soprattutto le spie.”
“Non sono una spia. Lavoro per..”

Prima che possa completare la frase, rivelando le connessioni più o meno influenti, la già citata manona del suo simpatico amico si abbatte sulla faccia del chimico con decisamente meno simpatia.
Huck crolla a terra, sul terreno zuppo della leggera pioggia che ha bagnato i festeggiamenti di Timisoara.
Armadio ride, aggiunge qualche insulto contro i corer e “non farti più vedere”.
Huck allarga braccia e gambe, spalanca la bocca per riprendere fiato. Si rimetterà in piedi solo dopo qualche minuto e un borbottio dopo.

Happy Exodus Day, Polaris.


Si presenterà al matrimonio di Bolton con un occhio nero.

lunedì 29 luglio 2013

Una ruota e tanta sfiga.

Duankou, casino, 29 luglio 2515.

Duevirgolasette. Per la precisione 2,702703.
Le probabilità di vincita alla Roulette in caso di puntata su numero singolo.

Il numero singolo su cui scommette Huck è sempre il 33.
Non per motivazioni religiose, sia chiaro. E' il numero atomico dell'Arsenico.
E ha più dimestichezza con chimica e avvelenamenti che con Dio.

“Sfiga puttana!”

Un'altra cosa con cui ha dimestichezza è la Sfortuna che ricorda spesso ai suoi compagni di gioco, ogni volta che la mano di Roulette termina con una sua sconfitta. Statisticamente nel novantasettevirgolatre percento dei casi. In parole più semplici:

“Perdo sempre! Vaffanculo.”

La seconda parte della frase è forse diretta al 'verse infame, forse al povero croupier che sta portando via il suo mucchietto di gettoni colorati appena scommessi. Non è la prima volta, questa sera. Lo sa il dipendente del casino, lo sa il chimico, lo sa il pilota di Gracestone che lo ha accompagnato ai tavoli per cui condividono amore ed odio, a seconda di dove va a fermarsi la pallina bianca. Questa sera la Fortuna e la ruota numerata non sorridono ad Huck.
Deve quindi accontentarsi del ghigno di Rudy, che incassa la propria vincita con evidente entusiasmo e aperta provocazione.

“Prima o poi imparerai a giocare, Haggerty.”
“So giocare meglio di te, ma da qualche tempo.. ho una sfiga pazzesca.”
“Sfortunato al gioco, fortunato in amore.”

Il pilota conclude la frase indirizzando un occhiolino al chimico, poi viene attirato dalla voce del croupier che riapre le danze sul tavolo verde. Al contrario, l'attenzione di Huck è da tutt'altra parte. Una smorfia sorpresa e vagamente infastidita ha seguito la frase appena sentita, lo sguardo è scappato oltre la vetrata che fa da parete al casino. Smarrito tra le stelle, quasi potesse individuare ad occhio nudo una chioma bionda su un pianeta distante anni luce.
Le labbra lasciano sfuggire un mugugno allo stesso tempo affettuoso e ostile, diretto da qualche parte nel nulla dello spazio.

“Vaffanculo, Culodicuori.”

Non fa in tempo a girarsi di nuovo verso il tavolo, a sistemare una puntata sulla solita casella, che Rudy gli è nuovamente accanto immerso in una risata fragorosa. Una mano tesa, l'indice puntato verso il lato opposto del salone, verso un'altra vetrata, altro buio e altre stelle.

“Guarda che Tauron è dall'altra parte.”
“Vaffanculo anche tu.”

La pallina bianca viene lanciata, corre sui trentasette numeri che compongono la ruota.

Non si fermerà sul 33.

lunedì 8 luglio 2013

Due teorie e dei fantasmi.

Greenfield, Jasonville, 4 luglio 2515


Escludendo rare eccezioni - eventi mondani, nottate in laboratorio, soggiorni in carcere - l'abbigliamento del chimico non cambia praticamente mai. Per svogliatezza o abitudine si infila sempre in un paio di jeans e in una camicia, anche se la qualità e la pulizia variano a seconda del posto in cui si trova. Si potrebbe riassumere in una teoria:

La probabilità che i vestiti siano lindi e stirati è inversamente proporzionale alla distanza che intercorre tra Huck e Cap City.

Per confutarla basterebbe passare qualche settimana in compagnia del chimico, scortandolo nel suo peregrinare per il 'verse. Ovviamente non esiste persona che si impegnerebbe volontariamente in tale improbabile e poco utile impresa, e l'unica che davvero vive con lui non ha il minimo interesse nel suo modo di vestire. Rudy, il pilota ubriacone e debitore, presta ben poca cura al look maschile.
Si stupisce quindi non poco, quando entrando nella cabina del Capitano lo trova impegnato a fissare con un raro ghigno allegro e sguardo distante una camicia bianca, stesa sul letto. Una camicia bianca vistosamente macchiata d'erba umida.

"Ti sei impasticcato di nuovo?"

Chiede, l'accento di Gracestone venato di stupore. Fissa il volto di Huck, poi il letto e quei vestiti sporchi.
La voce del chimico risuona tra le pareti metalliche della Space Sick con un'esplosione di confuso ma sobrio entusiasmo.

"La speranza è una camicia macchiata di verde."

Rudy lo guarda storto. Biascica qualche bestemmia ed esce dalla cabina.
Non sembra avere intenzione di discutere neanche questa personalissima teoria.

-
Eivor [ riverside ]  «  Si gira a guardarlo soltanto quando con la coda dell'occhio si è assicurata che lui i suoi li abbia chiusi. Gli fa scivolare addosso un'occhiata molto attenta, che sale dalla punta delle scarpe all'ultima ciocca di capelli. Deglutisce un grumo di angoscia.  » Mi piaci. «  Si potrebbe immaginare che lo ammetta contro voglia con un filo di voce. Invece, lo dice in maniera assolutamente naturale, come se avesse appena constatato che il cielo è azzurro e le cascate fatte d'acqua.  » E penso che tu sia una brava persona. «  Aggiunge, con un tono che non sembra ammettere nessun se e nessun ma.  » Ma se scappiamo entrambi in direzioni diverse.. «  Si interrompe, come se avesse tutto d'un tratto perso il filo del discorso, lasciato impigliato da qualche parte nelle ciocche ribelli del chimico, che sta fissando con una certa intensità.  »

" non scapperò, da te.



So give me hope in the darkness that I will see the light
'Cause oh that gave me such a fright
But I will hold as long as you like
Just promise me we'll be alright

But hold me still, bury my heart on the coals
And hold me still, bury my heart next to yours

So give me hope in the darkness that I will see the light
'Cause oh that gave me such a fright
But I will hold on with all of my might
Just promise me we'll be alright

But the ghosts that we knew made us black and all blue,
But we'll live a long life.
And the ghosts that we knew will flicker from view
And we'll live a long life.

venerdì 28 giugno 2013

Una bionda e un doppio malto.

Bullfinch, Timisoara, 26 giugno 2515

Sta diventando una costante.
Quando le luci dell'alba e il chimico di Horyzon si incontrano, uno dei due è sempre ubriaco.
E l'alba non beve.

Il Wild Horses è un saloon come mille altri. In legno, con una veranda all'esterno e un bancone affollato all'interno. La clientela tipica è formata da uomini dei vari ranch, l'aria puzza di fumo e umanità sudata.
Il Wild Horses è chiuso da ore. La campana dell'ultimo giro, gli insulti del barista e qualche calcione distratto l'hanno svuotato quando ancora faceva buio. I primi raggi del sole trovano due figure superstiti, arroccate sulle sedie della veranda.

“Io la odio, Len.”

Haggerty ha il fiato che puzza di alcol, la camicia sporca di qualche bicchierino rovesciato, la barba incollata alla pelle da incrostazioni dolciastre, gli occhi e la voce annegati nel whisky.
E' stravaccato su una sedia più malmessa di lui, il capo inclinato leggermente di lato per inquadrare il suo occasionale compagno di bevute e di conseguenza ovviamente, per quella notte, miglior amico di sempre.

“Ben. E' la decima volta che te lo dico. Mi chiamo Ben.”

Ben protesta senza più forza o speranza. Scuote il capo, lo ferma per ingoiare l'ennesimo sorso dall'unica bottiglia sopravvissuta fino ad ora, poi se la stringe al petto con amore e devozione.
Ben dice di avere cinquant'anni, ma la guerra e l'alcolismo gli hanno lasciato addosso segni pesanti, gli hanno scavato il viso in rughe che lo fanno sembrare molto più vecchio. Ha addosso vestiti che probabilmente hanno attraversato con lui sia le battaglie contro l'Alleanza che quelle contro il whisky. Non pare averne vinta nessuna.
Annuisce lentamente, mostrando per le parole del chimico tutto l'interesse di un ubriacone che non ha niente di meglio da fare in attesa che il locale riapra.

“E' una cazzo di bambina che ha deciso di prendersi sulle spalle tutti i problemi del mondo.
Io la odio, Len.”

Ben sospira rassegnazione e vapori alcolici. Si alza con calma, fissa a lungo il chimico, gli tende quell'unica bottiglia superstite. 
Con essa, gli regala il solo consiglio che può dargli.

“Bevici su.”

Poi spiega il motivo del suo improvviso staccare il culo dalla sedia, affrettandosi a girare l'angolo del locale. Non lo fa a parole, ma con l'inconfondibile rumore di vomito.

Il chimico resta da solo, con quel whisky in mano.
Attorniato da bottiglie vuote, consumate una ad una come le perle di un rosario in una preghiera a Santa Sbronza, svuotate di fretta come i proiettili di un caricatore esploso con rabbia contro i pensieri.


Ci beve su.

domenica 16 giugno 2013

Una torre e un castello.

Space Sick, Sunset Tower, 16 giugno 2515

Temporale.
Fulmini e tuoni.
Forse colpi di pistola: a Sunset Tower non si può mai sapere.
Temporale, nebbia, criminali e terroristi. Una serie di ottimi motivi per non mettere la testa fuori dalla nave. Il che significa giocare a carte, per lui e Rudy.

No, col cazzo, con te non gioco più.”

Per lui.

Credi che non mi sia accorto che è tutta sera che bari?

Il pilota aggiunge qualche bestemmia multiculturale e sparisce oltre la stiva aperta, sotto la pioggia acida che bagna la torre. Lui ne segue la sagoma con lo sguardo, fino a quando non sparisce nella notte.
Sospira. Guarda il mucchio di banconote che si ritrova davanti, sul tavolo. Ride.
E' tutta la sera che bara.

Scarta l'idea di un solitario. Scarta l'idea di estrarre i dadi. Ovviamente scarta l'idea di andare a dormire. Si scola un bicchiere di whisky, pessima qualità ma sbronza veloce. Dopo qualche sorso sembra orientato a stordirsi di liquore e svenire lì seduto, sul tavolo piazzato in mezzo alla stiva, a qualche metro dalla tempesta.
Poi, quasi meccanicamente, raccoglie due carte dal mazzo.
Le sistema in piedi, inclinate, una a sostenere la punta dell'altra. Una casetta.
Il filo dei pensieri si perde nel whisky, le mani lo seguono.

La prima coppia, la prima piramide, è per Silver. Un dubbio.
La seconda, costruita appena accanto, è Electra. Per i debiti, i consigli, i tarli messi in testa.
D'istinto, la terza è per Dragan e i suoi affari. La discrezione, la paura, l'indifferenza.
La quarta diventa Alec. Lui e il grilletto facile.
La quinta, nella sua testa, è per Nash.

Una fila di cinque casette di carte, la base di un castello di guai. 
Ride. Le dita vengono trascinate da ragionamenti sconnessi e illogici collegamenti. Lentamente, sopra quelle carte dispone una base di altre carte. Sopra quel piano, altre carte ancora. Altre coppie, altre piramidi.
La seconda fila sono i fantasmi.

Jones e la sua Blast al veleno.
L'ubriacone di El Paso, il suo polmone bucato.
Walter Cranston, nulla si crea e nulla si distrugge, ma intanto non c'è più.
I due bambini. Il sangue.

Il castello prende forma. La bottiglia di whisky si svuota, sorso dopo sorso. Le mani non tremano, preparando il terreno per il terzo piano sopra i due appena edificati. Nella testa si insinuano i debiti da ripagare, le dita li costruiscono con altre carte.

Molly, perchè grazie a lei ho avuto una seconda possibilità.
Tali, perchè di occasioni me ne ha date tante.
Andre, perchè una seconda chance se la merita anche lui.

Tre coppie, terzo piano. Ne mancano due, alla fine della piramide. Uno sguardo controlla l'airlock aperto, preoccupato da presenze ostili. Non trova criminali, ma un filo di vento che fa vibrare lui e il castello. Lo protegge con le mani aperte, poi le usa per versarsi in gola altro liquore. Quindi raccoglie altre quattro carte. Questa volta le dita tremano, nel sistemarle con precisione le une contro le altre, le une accanto alle altre.

Due carte. Aileen.
Due carte. Eivor.

Arretra sullo schienale della sedia. Mentre si riempie il bicchiere per l'ennesima volta studia quella costruzione precisa quanto fragile.
Quattro piani, dalla base alla cima ancora mancante.
Una piramide di immagini, ricordi, sensazioni. 
E in quella struttura, ogni carta sostiene l'altra. Basterebbe toglierne una sola, una qualsiasi, e crollerebbe tutto in un istante.
Ride, ma è una risata nervosa e ubriaca.
Raccoglie le ultime due carte. Le mani tremano, come i pensieri nella testa del chimico.
Trattiene il fiato.
Con estrema lentezza sistema l'ultima casetta sulla cima della piramide. La punta, la cosa più importante o dove tutto va a finire: La Fortuna.

Un rivolo di vento fuggito dalla tempesta che imperversa sulla torre scivola oltre l'airlock aperto, vaga dispettoso per la stiva, si insinua prima a regalare un brivido nel colletto del chimico e quindi, un istante dopo che lui ha lasciato le carte, nella piramide.
Il castello frana, di colpo.

Non c'è la Fortuna, in cima alla piramide di Huck.
E lui lo sa.


Sfiga Puttana.

venerdì 7 giugno 2013

Ace of Hearts - Wu (e altri debiti.)

 Greenfield, El Paso, 2509


Il bastardo è in ginocchio.
Le mani cercano di fermare il sangue. Le mani tremano. Il sangue non si arresta, fa rivoli sull'asfalto, bagna i vestiti.
L'uomo con il martello inspira profondamente.
Vibra ancora un colpo che risuona secco sulle ossa craniche. Le ossa cedono: materia cerebrale diviene visibile in mezzo al sangue.
L'uomo che fa da palo svuota lo stomaco sull'asfalto.
Bile liquorosa si mischia al sangue. Le mani si stringono sullo sterno, scosso da un secondo conato. Vomito, saliva, tosse. Sangue, troppo sangue.


Il bastardo giace. Stira le gambe. Scariche nervose simili a convulsioni.
L'assassino ride. Pulisce il martello sui vestiti del cadavere e ride.
Il palo si è dimenticato il suo compito. L'unica cosa che fissa è l'uomo steso nel lago di sangue.


Il bastardo non pagava i debiti. Il bastardo doveva pagare, in un modo o nell'altro. Il bastardo ha il cranio spaccato in due e una macchia del suo stesso cervello sulla camicia.
L'assassino ha occhi a mandorla e sguardo all'arsenico. L'assassino ha il cranio rasato e mani sporche di sangue. L'assassino ha un martello tra le dita e una lama nella voce:
“Che ti prende? Non hai mai visto un morto prima d'ora, Haggerty?”
Il palo ha lo stomaco vuoto e un pezzo di anima in meno.
“Mai.”


-


Si faceva chiamare Wu, ma dubito fosse il suo vero nome. Si faceva chiamare Wu e mi ha insegnato a uccidere.
O meglio ci ha provato. Non fa per me.
Non faceva, per me.


-


Jones se la meritava, la sniffata di veleno che gli ho regalato.
L'ubriacone se l'è cercato, quel proiettile nel polmone.
Ma quei due bambini..



..due vite. Devo al 'Verse due vite.

martedì 4 giugno 2013

Una bottiglia e qualche stronzo.

Space Sick, da qualche parte tra Safeport e Hall Point, 4 giugno 2515

Ha la testa nel cesso.
Ha la testa nel cesso della Space Sick, ha appena vomitato, e la cosa lo fa ridere. La cosa lo fa vomitare di nuovo, con decisamente meno allegria.
Bile e pensieri annegati nel whisky. Bestemmie annacquate che tornano a galla.


Stronzo il whisky.
Stronzo Rudy.
Stronza la Sfiga Puttana, che prima o poi mi farà ammazzare.
Stronze le parate e stronze le bombe.
Stronza Evans, le sue mutande e i suoi guai.
Stronzo Joe, e tutte le sue donne. Avevo ragione, già.
Stronzo Baiko, e il suo stronzo uccello.
Stronzo il Profeta, con la sua guerra pacifista.
Stronzo Wright, che doveva tenersi questa fottuta nave.
Stronza Aileen, e Yue, e Kate. Troppe facce per trovarne una di cui fidarsi.
Stronza Edwards, il suo orgoglio e la sua guerra dentro. Non mi interessa un cazzo.
Stronza Sterling, lei e qualche suo amico.
Stronzo Ritter, e già stronzo l'amico in più.

E stronzo Haggerty.

E stronzo Haggerty.

Il rumore dello sciacquone copre una risata che puzza di whisky e solitudine.

giovedì 30 maggio 2013

Ace of Diamonds - Walter Cranston (e un'esplosione.)

Horyzon, Capital City, 2501

“Presta attenzione, ragazzino.”

L'uomo compare in una nuvola di fumo.
O più probabilmente era già lì, solo coperto dai vapori azzurri che sfuggono dal calderone di sostanze chimiche sulle quali sta lavorando.
Nel rettangolo di viso lasciato libero tra capelli bianchi e mascherina protettiva c'è uno sguardo di rimprovero, reso minaccioso da una ruga che piega la fronte. Un indice, guantato e lucido, viene puntato verso uno degli ultimi banchi che riempiono il laboratorio universitario.
A vederlo così, con il grembiule lungo che sembra una tunica e quegli sbuffi di fumo che lo avvolgono, con il pentolone davanti e la lunga barba bianca che sfugge alla mascherina, si potrebbe scambiarlo per qualche mago delle storie della Terra-che-fu. 
A giudicare da come gli studenti interrompono le chiacchiere e raddrizzano la schiena, almeno qualcuno di loro deve pensarlo davvero capace di lanciare incantesimi o fulmini, con quel dito puntato.
Dall'altra parte di quel polpastrello, inquadrati nell'immaginaria mira del professore, ci sono uno sguardo strafottente e un istintivo sarcasmo.

“So miscelare ogni sostanza in questo laboratorio sicuramente meglio di quanto lei sappia farsi la barba, Professor Cranston.”

Il ragazzino ha una penna dietro l'orecchio, le braccia intrecciate sul petto magro e un blocco per appunti davanti. Intonso. 
Ha occhiaie che testimoniano una nottata lunga o impegnativa e un sorriso che trasmette che, in ogni caso, è stata una nottata soddisfacente. Il colletto macchiato di rossetto, i polsini di whisky.

Allora vieni a farci vedere. Vieni, continua tu.

L'uomo si sposta di lato, indicando al ragazzino il calderone fumante e una serie di provette.
Il ragazzino non si fa pregare, si alza e attraversa l'aula come se ne fosse il padrone.
L'uomo gli passa guanti e mascherina. Quando se la toglie, tra la barba si apre un ghigno divertito.
Il ragazzino si prepara. Studia il composto. Guarda i compagni. Recupera una provetta, la aggiunge. Fa per schiudere le labbra, per spiegare qualcosa alla classe.
L'uomo prima arretra di un passo, poi lo anticipa.

Hai esagerato con il nitrato, Haggerty. Farà un bel botto.”

Il ragazzino scompare in una nuvola di fumo e bestemmie.

-

Walter Cranston mi ha insegnato tutto quello che so sulla chimica.
E sulla modestia.
Su almeno una delle due cose, ha fatto un buon lavoro.
Gli studenti lo chiamavano “il Mago”, per la barba e l'atteggiamento da saggio eremita, ma all'interno del laboratorio era praticamente un Re. Non c'era sostanza che avesse segreti, o che non potesse piegare al suo volere.
Ha forgiato generazioni di studenti, capaci o meno. E qualche genio.
E' stato forse per il mio talento e la mia sfacciataggine che mi ha preso in simpatia, anche se il suo metodo educativo era una versione particolare del classico “bastone e carota”. Che prevedeva l'assenza della carota e un bastone extra. Lo odiavo, ma lo stimavo moltissimo.
Quando non è più stato il mio professore, quando ho finito il suo corso con il massimo dei voti, siamo diventati amici. Il whisky e la chimica non hanno età.
E' l'unica persona che non mi ha tagliato fuori, quando sono scappato da Cap City come un ladro.
Come il Mago che era, è sempre riuscito a contattarmi nel mio peregrinare per il 'Verse. Unico e sottile filo verso quello che sono stato, o che avrei potuto essere se la strada della vita, e delle scommesse, non mi avesse portato a vivere nel lato sbagliato della legge.

“Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta.”

Walter Cranston mi ha insegnato tutto quello che so, poi è morto in una giornata di festa.
E' stato un ironico destino, quello del Professor Cranston.
Dopo avere passato una vita a piegare le reazioni ai propri scopi, è stato ucciso da un'esplosione di energia che non poteva controllare.

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Walter Cranston. Corona, 23 Settembre 2437 – Horyzon, 29 Maggio 2515.

Gli studenti della classe '01 si uniscono al dolore dei famigliari e al cordoglio di tutta la comunità accademica di Horyzon per l'improvvisa e ingiusta scomparsa del professore Walter Cranston.
Il suo ricordo sarà sempre presente nei nostri cuori, a lui dobbiamo un grande contributo alla nostra formazione didattica, professionale ed umana.
La perdita di una tanto stimata persona ci ha molto colpiti, lasciando un grande vuoto dentro di noi.


Gli studenti tutti si augurano che la Marina possa presto consegnare alla Giustizia i colpevoli di un tanto efferato gesto verso tante vittime innocenti e l'Alleanza intera, e che questo possa portare pace nel cuore dei famigliari del professor Cranston.

martedì 21 maggio 2013

Un'alba e troppo vino.


Tauron, Madison Ranch, 21 maggio 2515

La luce del mattino lo trova addormentato ai piedi della grande quercia.
La giacca elegante è sparita, dimenticata da qualche parte o più probabilmente scommessa e persa. La camicia, una volta bianca, ha sfumature dell'erba su cui è caduto, del vino che si è versato in gola e addosso. L'alcol ha reso il sonno pesante, tanto che qualche guascone ha trovato divertente infilargli una forchetta nella barba mentre dormiva. O forse anche quella è lì per scommessa.
Un filo di brezza lo fa tremare, ne scuote le palpebre stanche: la luce del mattino colpisce le pupille come i fuochi artificiali di Dragan. 
Strizza gli occhi, infastidito.
Al posto del buio trova la confusione della mente stanca e disidratata. 
Immagini che si susseguono senza un filo logico, ricordi ubriachi e caotici, bolgia di pensieri e flash sconnessi.

Thor in tiro. Un sombrero. Un nano.
Un nano?
Un angelo violinista. O un angelo e un violinista.
E' il mio fidanzato”.
Hyena che palpa una puttana. Hyena che paga una puttana.
Sono arrivato tardi.
Aileen. Dove cazzo è Aileen?
Una bellissima cerimonia.”
Voglio bere ancora. Giuro su Dio che non berrò mai più.
Unfuciledellerosedeicuori.
Capitano Culodicuori Edwards.
Lo riempiamo di botte.
Ritter e Sterling che ballano.
Ritter e Sterling che ballano.
C'è speranza.

La luce del mattino lo accompagna nuovamente nel sonno, ai piedi della grande quercia.
Un sonno sbronzo e faticoso. Un sonno anticipato da un borbottio.

“Fate stare zitto il pianoforte, e quel coglione che canta.”

venerdì 17 maggio 2013

Ace of Clubs - Duke Preston


Horyzon, Capital City, 2498 


L'uomo sbuffa una nuvola di fumo puzzolente. Appoggia il sigaro nel portacenere, alza un angolo delle carte che ha davanti, annuisce leggermente.
L'uomo spinge nel mucchio di chip le pile che ha accumulato durante la lunga partita. Ha preso la sua decisione. “Stai bluffando, Duke. All In”.
L'uomo sente una risata, sgrana gli occhi, colpisce il tavolo con un pugno.
L'uomo ha perso. Ancora.

L'altro uomo, quello con le carte migliori, non commenta. Sospira l'ultimo scampolo di risa e trascina il mucchio di chip dal suo lato del tavolo, come ha fatto mille volte. Dita magre e rugose ricompongono le torri con l'esperienza di secoli di gioco, preparando quel castello di gettoni al prossimo assalto.
Duke Preston ha vinto. Ancora.

Il ragazzo, eliminato troppo presto dalla partita, osserva le chip cambiare mano. Osserva i volti dei giocatori, poi le loro carte, quindi il sigaro che va spegnendosi con uno sbuffo maleodorante. Esita, si mastica il labbro inferiore, poi si passa il palmo aperto sui primi peli che gli macchiano la guancia. Tossisce aria densa di fumo e qualche goccia del whisky ingoiato a forza, per sembrare adulto, ma che ora gli brucia le viscere. Brucia come le parole che non può trattenere in gola.
“Insegnami a giocare come fai tu, Duke.”
Il ragazzo sta implorando il Campione. Ancora.

Per la prima volta, dopo anni di partite, Duke gli risponde:
“Non c'è niente da imparare, Huck. O sei un giocatore, o è meglio che lasci stare.”

-

Duke Preston mi ha insegnato a giocare a poker.
Quando l'ho conosciuto aveva settant'anni, una lunga barba bianca e una bacheca piena di trofei.
Io ne avevo sedici, una passione per le carte e un cassetto pieno di sogni di gloria.
L'ho convinto a farmi da maestro sostenendo di essere un ottimo giocatore, solo da migliorare.
Col senno di poi, avrei dovuto seguire il suo consiglio e lasciare stare.
Chi sostiene che il poker sia un gioco di fortuna non ha mai incontrato Duke Preston, soprattutto non si è mai seduto al tavolo verde con lui. Perchè Duke ti svuotava il portafogli anche se la Dea Bendata era dalla tua parte. Non aveva bisogno di buone carte: lui ti leggeva i pensieri.
Nessun genetic upgrade, sia chiaro. Lui i pensieri te li leggeva in faccia, nella piega di un sorriso o in una ruga sulla fronte. Capiva se stavi mentendo dall'impercettibile vibrazione di una palpebra. Poi ti spennava.
“Se non vedi un pollo al tavolo, probabilmente il pollo sei tu.”
E' stato il genere di maestro che non potrà mai essere superato dall'allievo. Non da me, comunque. Abbiamo giocato centinaia di volte, ne ho vinta una sola e sono ancora convinto che abbia perso apposta perchè era il mio compleanno.
Duke Preston mi ha insegnato a giocare a poker, o almeno credo, poi mi ha lasciato con qualche soldo in meno e una serie di consigli. 
Non so se sia ancora vivo, ma se non lo è ha sicuramente convinto il Diavolo a passare dagli scacchi al poker. E lo sta battendo.


“"Il destino mischia le carte, ma sono gli uomini che giocano la partita"


I Dieci Comandamenti dell'Asso di Fiori:
  1. Gioca l'avversario più di quanto giochi le carte. 
  2. Scegli i giusti avversari.
  3. Non giocare mai soldi che non puoi permetterti di perdere. 
  4. Non giocare spesso, ma quando lo fai sii pronto a puntare tutto.
  5. Tieni d'occhio la partita, sempre. Anche se non stai giocando.
  6. Guarda i segnali dei tuoi avversari prima delle tue carte.
  7. Diversifica il tuo gioco. 
  8. Gioca piano in una partita veloce, veloce in una partita lenta.
  9. Impara a lasciare una mano perdente. 
  10. Comportati in maniera onorevole, al tavolo e fuori. 



                                                                    “Ci provo, Duke. Ci provo.”

giovedì 16 maggio 2013

Ace of Spades - Latore Wallace


Goldera, da qualche parte nella giungla, 2514

L'umidità si sente nelle ossa.
Attacca vestiti e moscerini alla pelle, rende il fiato pesante, incolla sul viso barba e capelli.

Dove cazzo mi hai portato, Wallace? Sembra di respirare sott'acqua.

La giungla avvolge i due uomini in un abbraccio verde e ronzante.
Nuvole di insetti attaccano curiose il grasso nero che sta facendo strada, quello li scaccia con una sventolata del machete. Poi affonda la lama in un albero, si piega sulle traballanti articolazioni, armeggia con qualcosa nascosto dalle piante. Alzarsi sembra costargli una fatica immane. Ansima lento, come se lo sforzo potesse fargli esplodere il cuore e ogni respiro sia potenzialmente l'ultimo. Arranca verso la botola che si è aperta tra le felci, lancia un'occhiata alla figura alle sue spalle. Poi sparisce giù per la scala metallica che sprofonda nella terra.

Il bianco magrolino resta da solo per una decina di secondi. Si guarda attorno spaesato, studia il punto tra le piante dal quale sono arrivati. Considera se riuscirebbe a ritrovare la strada per la civiltà, in caso decidesse di andarsene. Una smorfia contrae il viso barbuto e sudato. 
No, non ci riuscirebbe.
Il bianco magrolino deglutisce a fatica la frustrazione e qualche minuscolo insetto. Ne schiaccia un altro, più grosso, sotto la suola dello stivale. 
Il bianco magrolino stacca il machete dall'albero, ringhia qualche bestemmia in direzione dei moscerini tornati all'attacco, rincorre il grasso nero dentro la botola.
Quando la richiude, lasciando alle proprie spalle la giungla, il cigolio metallico si mischia alla voce profonda e ansimante di Latore Wallace.

Benvenuto nella tua nuova casa, Haggerty.

-

Latore Wallace mi ha insegnato a trafficare stupefacenti.
Io li sapevo creare, certo. Ma venderli, sopravvivendo ai culi blu e alla più spietata concorrenza, era un altro discorso. Quello era il campo di Wallace.
Al grassone piacevano i soldi facili.
Al grassone, ancora più dei soldi facili, piaceva il pollo fritto.
E' un luogo comune, “i negri vanno pazzi per il pollo fritto”, ma probabilmente quel detto è nato da qualcuno che ha incontrato Latore Wallace. In qualsiasi pianeta del 'Verse ci trovassimo, sapeva trovare un rifugio sicuro e una rivendita di pollo sintetico. E sapeva cosa vendere, a chi vendere.
L'ho incontrato qualche mese dopo la fine della guerra. Io ero alla deriva: un mondo in ricostruzione consuma meno droga. Wallace aveva messo in piedi un giro di contrabbando durante il conflitto e non aveva nessuna intenzione di rinunciare al suo regno.
Sono diventato il suo cuoco. Di narcotici, il pollo fritto sapeva prepararselo da solo.
Blast, Switch, ODT. Io sintetizzavo, nel laboratorio nascosto nella giungla, lui trovava qualcuno che per quella droga ci riempiva di soldi. Poi io li spendevo al gioco, lui in puttane e gioielli.
Latore Wallace mi ha insegnato a trafficare stupefacenti, ma è stato ammazzato dall'unico nemico che i suoi consigli di vita e di lavoro non erano in grado di fermare: un infarto.

Money and blood don't mix, like two dicks and no bitch.


I Dieci Comandamenti dell'Asso di Picche:
  1. Mai fidarsi di nessuno.
  2. Mai fare sapere a qualcuno quanti soldi hai.
  3. Mai fare sapere a qualcuno la tua prossima mossa.
  4. Mai consumare la propria merce.
  5. Mai vendere nel posto dove vivi.
  6. Mai fare credito.
  7. Mai mischiare famiglia e affari.
  8. Mai avere merce addosso.
  9. Tenersi a distanza dalla polizia, sempre.
  10. Spaccia.

"Ci provo, Wallace. Ci provo."