Space Sick, Sunset Tower, 16 giugno 2515
Temporale.
Fulmini e tuoni.
Forse colpi di pistola: a Sunset Tower
non si può mai sapere.
Temporale, nebbia, criminali e
terroristi. Una serie di ottimi motivi per non mettere la testa fuori
dalla nave. Il che significa giocare a carte, per lui e Rudy.
“No, col cazzo, con te non gioco
più.”
Per lui.
“Credi che non mi sia accorto che è
tutta sera che bari?”
Il pilota aggiunge qualche bestemmia
multiculturale e sparisce oltre la stiva aperta, sotto la pioggia
acida che bagna la torre. Lui ne segue la sagoma con lo sguardo, fino
a quando non sparisce nella notte.
Sospira. Guarda il mucchio di banconote
che si ritrova davanti, sul tavolo. Ride.
E' tutta la sera che bara.
Scarta l'idea di un solitario. Scarta
l'idea di estrarre i dadi. Ovviamente scarta l'idea di andare a
dormire. Si scola un bicchiere di whisky, pessima qualità ma sbronza
veloce. Dopo qualche sorso sembra orientato a stordirsi di liquore e
svenire lì seduto, sul tavolo piazzato in mezzo alla stiva, a
qualche metro dalla tempesta.
Poi, quasi meccanicamente, raccoglie
due carte dal mazzo.
Le sistema in piedi, inclinate, una a
sostenere la punta dell'altra. Una casetta.
Il filo dei pensieri si perde nel
whisky, le mani lo seguono.
La prima coppia, la prima piramide, è
per Silver. Un dubbio.
La seconda, costruita appena accanto, è
Electra. Per i debiti, i consigli, i tarli messi in testa.
D'istinto, la terza è per Dragan e i
suoi affari. La discrezione, la paura, l'indifferenza.
La quarta diventa Alec. Lui e il
grilletto facile.
La quinta, nella sua testa, è per
Nash.
Una fila di cinque casette di carte, la
base di un castello di guai.
Ride. Le dita vengono trascinate da
ragionamenti sconnessi e illogici collegamenti. Lentamente, sopra
quelle carte dispone una base di altre carte. Sopra quel piano, altre
carte ancora. Altre coppie, altre piramidi.
La seconda fila sono i fantasmi.
Jones e la sua Blast al veleno.
L'ubriacone di El Paso, il suo polmone
bucato.
Walter Cranston, nulla si crea e nulla
si distrugge, ma intanto non c'è più.
I due bambini. Il sangue.
Il castello prende forma. La bottiglia
di whisky si svuota, sorso dopo sorso. Le mani non tremano,
preparando il terreno per il terzo piano sopra i due appena
edificati. Nella testa si insinuano i debiti da ripagare, le dita li
costruiscono con altre carte.
Molly, perchè grazie a lei ho avuto
una seconda possibilità.
Tali, perchè di occasioni me ne ha
date tante.
Andre, perchè una seconda chance se la
merita anche lui.
Tre coppie, terzo piano. Ne mancano
due, alla fine della piramide. Uno sguardo controlla l'airlock
aperto, preoccupato da presenze ostili. Non trova criminali, ma un
filo di vento che fa vibrare lui e il castello. Lo protegge con le
mani aperte, poi le usa per versarsi in gola altro liquore. Quindi
raccoglie altre quattro carte. Questa volta le dita tremano, nel
sistemarle con precisione le une contro le altre, le une accanto alle
altre.
Due carte. Aileen.
Due carte. Eivor.
Arretra sullo schienale della sedia.
Mentre si riempie il bicchiere per l'ennesima volta studia quella
costruzione precisa quanto fragile.
Quattro piani, dalla base alla cima
ancora mancante.
Una piramide di immagini, ricordi,
sensazioni.
E in quella struttura, ogni carta sostiene l'altra.
Basterebbe toglierne una sola, una qualsiasi, e crollerebbe tutto in
un istante.
Ride, ma è una risata nervosa e
ubriaca.
Raccoglie le ultime due carte. Le mani
tremano, come i pensieri nella testa del chimico.
Trattiene il fiato.
Con estrema lentezza sistema l'ultima
casetta sulla cima della piramide. La punta, la cosa più importante
o dove tutto va a finire: La Fortuna.
Un rivolo di vento fuggito dalla
tempesta che imperversa sulla torre scivola oltre l'airlock aperto,
vaga dispettoso per la stiva, si insinua prima a regalare un brivido
nel colletto del chimico e quindi, un istante dopo che lui ha
lasciato le carte, nella piramide.
Il castello frana, di colpo.
Non c'è la Fortuna, in cima alla
piramide di Huck.
E lui lo sa.
“Sfiga Puttana.”
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